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Oltre la malattia: combattere l’alopecia nel percorso oncologico
L’alopecia causata nei trattamenti oncologici non è solo una questione estetica. Incide profondamente sulla sfera emotiva e psicologica delle pazienti. La caduta dei capelli è un effetto collaterale con un peso non indifferente sulle donne durante un percorso di chemioterapia. In particolare, per quelle che combattono contro il tumore alla mammella.
Secondo la dottoressa Valentina Visintini Cividin, chirurgo plastico, ricostruttivo ed estetico presso l’Ospedale Oncologico Cro di Aviano.
«Il tumore della mammella è uno dei più frequenti al mondo. Di conseguenza, una grande fetta d popolazione femminile purtroppo ne viene interessata – spiega la dottoressa -. Le cure sono impattanti sia dal punto di vista medico sia da quello psicologico, perché le persone perdono la loro identità di donna, la loro femminilità e quindi l’autostima».
Affrontare l’alopecia con i caschi refrigeranti
Affrontare la caduta dei capelli è spesso molto difficile da affrontare proprio perché rende evidente la condizione di malattia.
Costringe, infatti, le pazienti a nascondere il loro stato con parrucche, foulard o bandane. Questo aumenta il senso di disagio e di imbarazzo. «Fortunatamente, l’alopecia derivante delle cure con i chemioterapici è reversibile. Dopo circa tre o sei mesi dal termine delle cure oncologiche, i capelli ricrescono. Tuttavia, durante il periodo anche lungo di cure oncologiche, i capelli sono chiaramente soggetti a un importante diradamento e caduta», racconta Visintini Cividin.
Una delle soluzioni innovative per contrastare l’alopecia durante la chemioterapia è l’uso dei caschi refrigeranti. Una tecnica che risale al 1970. Al tempo, si utilizzavano dei sacchetti di ghiaccio applicati ai capelli.
Oggi, grazie all’innovazione tecnologica, si può contare su caschi refrigeranti in cui «scorre un liquido refrigerante che mantiene la temperatura dai tre ai cinque gradi durante tutto quanto il trattamento. L’applicazione del casco, inizia circa un quarto d’ora, mezz’ora prima. Si protrae poi fino a un’ora dopo il termine dell’infusione del chemioterapico – afferma la dottoressa -. Questo perché, riducendo la quantità di sangue che arriva al cuoio capelluto con la vasocostrizione indotta dal freddo, si riduce anche la quantità di farmaco chemioterapico che va a colpire i bulbi piliferi e quindi i capelli si preservano».
Non solo cure mediche, ma umanizzazione delle terapie
L’uso dei caschi refrigeranti va oltre il semplice aspetto estetico. È un presidio che migliora la qualità di vita delle pazienti. Le aiuta a preservare la loro immagine e, di conseguenza, il loro benessere psicologico. Combattere la battaglia contro il tumore ha un peso significativo sulla femminilità. Le cure, infatti, comportano molteplici cambiamenti. Questi ultimi, seppur transitori, incidono sulla salute mentale della paziente. «C’è una donna che si guarda allo specchio e chiaramente non si riconosce. Si ritrova a non avere più capelli, un seno ricostruito con una protesi, magari con un aumento di dieci chili di peso», sottolinea Visintini Cividin.
In quest’ottica, i caschi refrigeranti possono rappresentare un’agevolazione concreta per le pazienti. Sono strumenti che aiutano a gestire la componente psicologica ed emotiva della persona coinvolta. «A volte, ci dimentichiamo che, attorno al tumore, c’è una persona con le sue emozioni, con la sua capacità di sopportare bene o meno bene le difficoltà e quindi di poter agevolare la qualità di vita aiutandola a superare meglio le grosse difficoltà del periodo di malattia», afferma la dottoressa.
La perdita di capelli sia per la donna sia per l’uomo, anche in condizioni non patologiche come quelle legate al tumore è una situazione di imbarazzo e di perdita dell’autostima. «Andiamo a far fronte a quelli che sono i disagi psicologici della persona che non è fatta soltanto di corpo, di malattia, di organi, ma anche di sentimenti e di paure . Ha bisogno anche di essere rassicurata e vedere che la situazione che sta affrontando non sta portando dei cambiamenti così radicali della sua persona», conclude Visintini Cividin.