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Il linfonodo sentinella per una diagnosi precoce
Quando si parla di tumore al seno, il linfonodo sentinella è il primo a essere coinvolto dalle metastasi. Rappresenta, infatti, un parametro importante da considerare per studiare e stabilire lo stadio della malattia.
«Dalla mammella, tramite le vie linfatiche, le metastasi raggiungono il cavo ascellare. Questa zona è infatti piena di linfonodi, ossia ghiandole linfatiche che per prime vengono interessate dalle cellule metastatiche in caso di tumore alla mammella – afferma Diego Ribuffo, professore ordinario di chirurgia plastica all’Università La Sapienza di Roma e membro della Breast Unit Umberto I -. Se il linfonodo sentinella è negativo, quindi privo di metastasi, allora anche tutti gli altri lo saranno».
A seconda del numero di linfonodi coinvolti e in base alla quantità di metastasi che si trovano in questo linfoma si può avere un quadro della malattia e stabilire le terapie successive.
Come individuare il linfonodo sentinella
L’intervento per rilevare e poi per analizzare il linfonodo sentinella è molto specifico e si esegue nelle Breast Units. È una procedura che evita lo svuotamento linfonodale e quindi l’asportazione di tutti i linfonodi della stazione ascellare, che spesso causano il linfedema dopo la mastectomia.
«Per individuare il linfonodo sentinella, si deve effettuare un marcaggio di tessuti vicini al tumore tramite un radio farmaco. Quest’ultimo viene iniettato nella zona interessata e, con una sonda che capta le radiazioni a bassissimo livello, se ne individuano due o tre – spiega Ribuffo -. Per poterli analizzare, si deve fare un esame istologico con marcatori particolari. Quello che si va a cercare non sono le cosiddette macro metastasi, bensì singole cellule».
Guardando al futuro del tumore al seno, il Professore, che si occupa principalmente di ricostruzione mammaria, ha una visione incoraggiante sulle procedure di cura e trattamento. Egli parla infatti di mastectomia profilattica, ossia preventiva. Si tratta di un intervento nel quale si toglie tutta la ghiandola, ma si conserva l’involucro esterno, quindi la pelle, la cute e il capezzolo.
«Lo scenario dei prossimi 20 anni sarà, probabilmente, quello di sempre meno interventi del chirurgo senologo e più interventi del chirurgo plastico per trattare le necrosi post chemioterapia o radioterapia. Lo svuotamento ascellare è ormai molto raro e molte poche pazienti andranno incontro a questi tipi di intervento – continua Ribuffo -. Grazie, infatti, ai progressi della genetica e della genomica, riusciremo a individuare le pazienti portatrici di mutazioni particolari e quindi suscettibili di effettuare una chemioterapia o radioterapia su misura».
Il ruolo delle Breast Units
Quando si tratta di prevenzione del tumore al seno, l’ecografia e la mammografia sono gli esami principali che vengono eseguiti per una diagnosi precoce.
«Nonostante lo screening sia gratuito, tra l’altro proposto delle regioni tramite una lettera inviata a casa, e anche se siamo costantemente martellati da un punto di vista mediatico in modo positivo sulla questione, solo poco più della metà delle donne italiane in età di screening si sottopone al test. Oltre agli esami periodici, è essenziale un controllo da parte della paziente stessa tramite l’autopalpazione e l’ispezione che può eseguire quotidianamente», racconta il Professore.
Ribuffo ricorda, inoltre, l’importanza di affidarsi alle Breast Units per ricevere un trattamento personalizzato e tempestivo. «I benefici sono numerosi. È stato dimostrato che farsi curare in questi centri aumenta le probabilità di sopravvivenza delle pazienti. All’interno delle Breast Units, c’è una forte collaborazione tra specialisti in vari settori che si dedicano a una singola patologia. Studiano e commentano i casi e trovano in sinergia una terapia condivisa», conclude Ribuffo.