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Le ferite difficili: trattamenti, cause e soluzioni all’avanguardia

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Le ferite difficili rappresentano una delle sfide più complesse per i professionisti della medicina, in particolare per i chirurghi plastici. Si tratta di lesioni che non guariscono in tempi normali, richiedendo interventi specialistici per stimolare la guarigione e prevenire complicazioni come infezioni o cicatrici anomale. Il professore Claudio Ligresti, chirurgo generale e plastico con oltre trentacinque anni di esperienza, condivide le sue conoscenze e le innovazioni nel trattamento delle ferite difficili.

Che cosa sono le ferite difficili?

Il termine “ferite difficili” si riferisce a quelle lesioni che non guariscono nei tempi previsti. Il professor Ligresti spiega: «Le ferite sono considerate difficili quando ci mettono tanto tempo a guarire. Ad esempio, una ferita da taglio normale guarisce in pochi giorni, come una piccola incisione chirurgica. Ma ci sono ferite che impiegano mesi o anni per guarire, diventando difficili. Si considerano ferite difficili quelle che non guariscono entro trenta giorni per le ferite normali, o sessanta giorni per quelle più complicate».

Trattamenti per le ferite difficili

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Professore Claudio Ligresti, chirurgo generale e plastico con oltre trentacinque anni di esperienza

Il trattamento delle ferite difficili dipende dalla valutazione iniziale, che include la diagnosi della causa e delle caratteristiche della lesione. «La gestione delle ferite difficili inizia con la valutazione», sottolinea Ligresti. «Se la ferita è complessa ma di piccole dimensioni, utilizziamo medicazioni avanzate come idrofibre, arginati, e poliuretani. Cioè medicazioni che possono avere al loro interno anche elementi antisettici e quindi possono essere utili anche per la disinfezione, oltre che per la riparazione in senso generale».

Un altro approccio terapeutico innovativo è la terapia della pressione negativa (VAC), che si utilizza in caso di ferite più profonde. «Va utilizzata non per ferite superficiali ma per ferite profonde, laddove cioè c’è bisogno di recuperare un gap di profondità e soprattutto quando a questo si associa una essudazione importante, cioè la formazione di un liquido che può essere solamente di tipo sieroso. Ma può anche essere un essudato di tipo batterico».

Inoltre, la medicina rigenerativa ha aperto nuove frontiere nel trattamento delle ferite difficili. Tra le tecnologie più promettenti, vi sono il plasma ricco di piastrine (PRP) e i gel piastrinici. Questi trattamenti utilizzano il sangue del paziente, che viene centrifugato e iniettato nella zona della ferita per stimolare la rigenerazione del tessuto danneggiato. «Se questo sangue viene a contatto col tessuto adiposo o con un altro tessuto, si può stimolare addirittura la ricrescita di quel tessuto stesso» afferma Ligresti.

I fattori genetici e ambientali

Esistono anche fattori genetici e ambientali che possono influenzare la formazione delle ferite difficili. Malattie come il diabete, ad esempio, aumentano il rischio di lesioni che non guariscono correttamente. «Esiste una predisposizione di queste patologie in pazienti che hanno una familiarità, per esempio per il diabete o hanno una familiarità per patologie di tipo immunitario che possono determinare una riduzione della capacità di cicatrizzare un tessuto leso o addirittura queste malattie provocano una lesione tessutale», spiega il professor Ligresti. Questo accade, ad esempio, quando il diabete causa malformazioni del piede e riduce la sensibilità, impedendo al paziente di avvertire traumi che portano a ferite.

Linee di ricerca e innovazioni future

La ricerca scientifica nel campo delle ferite difficili è in continua evoluzione. Ligresti fa riferimento a studi in corso «Come Italian Academy Wound Care ( ndr di cui il dottor Ligresti è Direttore)  – anche società scientifica iscritta nel registro del Ministero della Salute- abbiamo promosso degli studi specifici per redigere delle raccomandazioni su alcuni argomenti che riguardano appunto la cura delle ferite difficili. Uno di questi è l’elastocompressione.»

ferite difficili

La ricerca sta andando avanti anche per quanto riguarda l’infezione dei tessuti e l’utilizzo del plasma a freddo. «L’uso del plasma freddo, il cold plasma, come dicono gli inglesi. È una metodica rivoluzionaria che è arrivata anche nel mercato europeo. Io stesso la utilizzo ed è ottima come tipo di presidio, ma è anche molto importante la ricerca per la spinta che la medicina rigenerativa può dare nei confronti di ferite complesse », spiega.

Un altro ambito di ricerca riguarda le matrici dermiche, strutture che agiscono come impalcature per la crescita del nuovo tessuto. Queste matrici possono essere realizzate con cellule di origine animale, come quelle del pesce o del maiale, per stimolare la rigenerazione della pelle.

Da ferita difficile a storia di successo


Un esempio concreto di come una ferita complessa possa evolversi è il caso di un ragazzo senegalese di circa vent’anni. Questo giovane aveva avuto un grave incidente stradale nel suo Paese che gli aveva provocato una frattura ossea alla tibia e al perone.

La frattura era stata immobilizzata in modo approssimativo, e il ragazzo arrivò in Italia con una condizione già difficile da gestire. Ricorda Ligresti: «Il ragazzo si presentava con una perdita di sostanza, quindi la mancanza della pelle in corrispondenza della parte inferiore laterale della gamba provocata dalla presenza di un gesso prolungato».

Se il gesso viene mantenuto per un periodo adeguato, svolge correttamente la sua funzione. Tuttavia, se rimane troppo a lungo, l’arto tende ad assottigliarsi, iniziando a muoversi all’interno del gesso. Questo attrito può causare abrasioni e, nei casi più gravi, ferite. «Quindi il gesso fu rimosso e si evidenziò questa grande ferita di almeno quindici centimetri di diametro a livello del malleolo esterno e il ragazzo era terrorizzato. Era molto dolente

Dopo la radiografia, i medici scoprono che le fratture non si erano consolidate e le ossa risultavano fuori posto. Gli ortopedici decisero di coinvolgere il dottor Ligresti per intervenire prima sulla ferita e sui tessuti molli, garantendo così le condizioni ottimali per la successiva riparazione ossea senza rischi di infezione. L’intervento di riparazione fu eseguito con un lembo surale, prelevato dal polpaccio e posizionato sulla gamba.

Il risultato fu straordinario: «Il ragazzo diventò un atleta di mezzofondo e gareggiò con altri compagni in squadre qui del Piemonte per fare le corse campestri, corse di vario genere, vincendo anche qualche gara.» Questo risultato non fu solo una vittoria clinica, ma anche personale per il medico: «Per me fu un risultato non solo clinico, non solo da medico, ma anche da uomo. Aver potuto aiutare un ragazzo che veniva da un paese in difficoltà e che aveva ricevuto una cura molto approssimativa. Non solo in Italia gli avevamo ridato la possibilità di guarire, ma addirittura di fare dello sport e di essere felice.» conclude Ligresti

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