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Espansione inversa: la metodica di ricostruzione mammaria autologa

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La chirurgia plastica ricostruttiva sta vivendo un’evoluzione significativa grazie all’espansione inversa, una tecnica innovativa che sta trasformando il percorso di ricostruzione post-mastectomia.

Dopo una mastectomia, molte donne affrontano un percorso di rinascita che passa anche attraverso la possibilità di recuperare il volume e la forma della mammella. Tra le soluzioni più avanzate e meno invasive, questo approccio si sta affermando per i suoi risultati e il ridotto impatto post-operatorio.

«L’espansione inversa è una metodica multi step di ricostruzione con tessuto autologo della mammella. Vuol dire che prevede diversi interventi chirurgici. Il concetto è quello di poter ricostruire tutta la mammella mediante degli innesti di tessuto adiposo, quindi prelevati dalla stessa paziente. Questo permette una ricostruzione autologa, quindi in linea di massima migliore rispetto a una ricostruzione con delle protesi», spiega Luca Fabiocchi, dirigente medico di Chirurgia Plastica Ricostruttiva presso l’Unità Operativa di Chirurgia ad Indirizzo Senologico di Santarcangelo di Romagna, nel distretto di Rimini dell’AUSL Romagna.

Secondo quanto afferma il medico la mammella ricostruita con materiale autologo non solo risulta morfologicamente simile a quella controlaterale, ma al tatto appare naturale, seguendo una ptosi fisiologica che tiene conto anche dell’età delle pazienti.

I vantaggi dell’espansione autologa

Luca Fabiocchi, dirigente medico di Chirurgia Plastica Ricostruttiva presso l’Unità Operativa di Chirurgia ad Indirizzo Senologico di Santarcangelo di Romagna, nel distretto di Rimini dell’AUSL Romagna.

Le tecniche di ricostruzione mammaria tradizionali prevedono spesso l’utilizzo di protesi in silicone o il prelievo di lembi di tessuto da altre parti del corpo, come l’addome o il dorso. Rispetto a queste soluzioni, l’espansione inversa ha numerosi vantaggi. Dalla minima invasività e tempi di recupero ridotti al minor impatto post-operatorio e risultati estetici ottimali. 

«L’espansione inversa prevede un solo giorno di ricovero e la paziente viene dimessa in prima giornata post-operatoria. Non si utilizzano i drenaggi. Non si fanno incisioni importanti, nella liposuzione, sia per l’accesso della cannula e anche per l’inserimento del grasso si praticano solo piccoli accessi – racconta il dottore -. Nella seduta in cui viene rimosso l’espansore, è necessaria una piccola incisione nel solco sottomammario per consentirne l’estrazione».

L’efficacia della tecnica si riflette anche nel numero di sedute necessarie per completare la ricostruzione. 

«Su 170 casi, dal 2010 ad oggi, la media attuale delle sedute necessarie per la ricostruzione è di circa 2,3. Questo vuol dire che sono più le pazienti che riescono a effettuare la ricostruzione con due sedute rispetto a quelle nelle quali ne sono necessarie tre».

Nei casi di ricostruzione eterologa, gli interventi sono più lunghi e il decorso post-operatorio può risultare più impegnativo, sebbene spesso sia sufficiente una sola seduta. Tuttavia, l’espansione inversa offre un recupero più rapido e meno invasivo, permettendo alle pazienti di tornare alle loro attività quotidiane in tempi molto brevi.

«Già nella stessa giornata, le pazienti possono effettuare la doccia di pulizia e riprendere tranquillamente a lavorare».

Il basso tasso di complicanze e recidive

L’espansione inversa, come qualsiasi procedura chirurgica, non è comunque esente da rischi. Il tasso di complicanze è però molto basso rispetto a quelle che si possono avere con un intervento maggiore come può essere un lembo. «Le complicanze che noi abbiamo avuto sono state tre casi di infezione: tutti trattati e risolti con terapia antibiotica e un solo caso di sanguinamento importante – ricorda Fabiocchi -. Lì, però, c’erano dei fattori misconosciuti nell’alterazione di fattori della coagulazione  che hanno determinato un sanguinamento importante». Si sono registrate 4 recidive tra tutte le pazienti operate, un dato in linea con quello osservato utilizzando altre metodologie di ricostruzione.

Per chi è indicata la procedura?

La tecnica non è adatta a tutte le pazienti poiché bisogna disporre di sufficienti aree donatrici del tessuto adiposo per poter permettere l’innesto in area mammaria. Fabiocchi entra nel dettaglio: «Noi centrifughiamo il tessuto adiposo, senza farlo decantare. Durante questa procedura di purificazione, perdiamo poco più della metà del grasso prelevato. Considerando che un innesto sopra un espansore ha, in media, un volume tra 300 e 350 cc per seduta, il prelievo iniziale si aggira intorno agli 800 cc. Per questo motivo è necessario disporre di una quantità di grasso adeguata: non piccolissima, ma neanche un’esagerazione».
Un fattore che può influire sulla disponibilità di tessuto adiposo è la terapia ormonale che molte pazienti seguono dopo la mastectomia. Questo perché il tumore alla mammella è spesso ormonosoppressivo . «Il 90% di queste donne tende ad aumentare di peso durante la terapia, con un incremento medio tra i 5 e i 10 kg». Un fenomeno, perciò, rilevante perché, anche se inizialmente una paziente non dispone di una quantità di tessuto adiposo sufficiente per la ricostruzione, dopo un anno di trattamento ormonale la situazione può cambiare. L’espansione inversa offre una valida alternativa molto apprezzata dalle pazienti. Queste ultime l’accolgono positivamente perché prevede una liposuzione, quindi un rimodellamento della silhouette. La tecnica di prelievo, infatti, è la stessa di una liposuzione estetica.
«Noi prendiamo a carico la paziente dopo che ha fatto la mastectomia. Dopo un anno, magari vediamo questa paziente che ha iniziato a fare anche la sua terapia e quindi può aver messo su, di solito tra i 5 e i 10 kg. Dopo questo aumento ponderale, quindi, possiamo effettuare l’intervento chirurgico».

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