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Affermazione di genere: adeguare il corpo alla mente

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L’affermazione di genere è un vero e proprio atto di riconoscimento della propria identità. Per le persone transgender, questa è una strada di rinascita. Un modo per vivere autenticamente e senza il peso di un’identità forzata. Giulia Lo Russo, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica presso il Day Surgery Center Maurizio Bufalini  di Firenze, ricorda come, attraverso la chirurgia, si possa «Rafforzare un’identità a una persona nata in un corpo sbagliato e che ha capito di dover adeguare il corpo alla mente. Non più come prima cercando di adeguare la mente al corpo. Far capire a tutti, persone comprese, che potevano liberarsi e andare incontro a questa strada».

Approccio multidisciplinare per le persone transgender 

Alla base di questa disciplina, c’è un approccio multidisciplinare. Di fronte a qualsiasi realtà, attività, i chirurghi plastici sono abituati a collaborare. Questo vale anche per quanto riguarda le persone trans. Nonostante non rientrino nella patologia, hanno bisogno di una medicina e di una chirurgia in stretta collaborazione.

Dottoressa Giulia Lo Russo, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica presso il Day Surgery Center Maurizio Bufalini  di Firenze

«Le persone trans iniziano il prima possibile ad avere un ascolto, a essere riconosciute. Vanno da uno psicologo esperto nel riconoscere questa realtà, che è essenzialmente identitaria – spiega Lo Russo -. Dopodiché se lo ritiene necessario, si passa all’endocrinologo per un’eventuale terapia bloccante oppure, se l’età è più avanzata, si può procedere con ormoni analoghi al genere desiderato. Infine, per accedere alla chirurgia, in Italia, è necessario che la persona trans ottenga una sentenza del tribunale. Tutto questo viene portato da un giudice che decide se permettere o meno il percorso chirurgico, ovviamente pressoché irreversibile».

Intervenire, ad esempio, su donne trans, significa effettuare una serie di interventi che necessitano di uno staff multidisciplinare. Dal chirurgo plastico per la mastoplastica additiva e femminilizzazione del volto al chirurgo maxillo-facciale, otorinolaringoiatra, foniatra, logopedista e urologo. «Sono tante le persone che devono collaborare. In Italia, da qualche anno esiste il SIGIS. Una società che si occupa di unire tutte queste figure», dichiara la dottoressa. 

Sensibilizzare sull’affermazione di genere

Educare e sensibilizzare il pubblico sulle questioni transgender è di primaria importanza. Abbattere quindi pregiudizi e promuovere una cultura di tolleranza e supporto sono passi fondamentali. Si persegue così questo tipo di percorso in modo sicuro e con dignità. In termini comunicativi, le università sono più indietro rispetto agli studenti di medicina e alla popolazione, nonostante l’alto riscontro nei giovani medici.

«Personalmente, penso di aver fatto tanta comunicazione su questo argomento. Nella mia pratica clinica, mi capita di aver desiderio di raccontare certe storie  – continua la dottoressa -. Non sono un’influencer, ma ho visto che, negli ultimi anni, questo ha aiutato tante persone a livello di famiglia nel riconoscere questa dimensione».

La riconoscibilità, soprattutto degli uomini e ragazzi trans, ha subito un ritardo significativo, riflettendo una mancanza di rappresentazione e di comprensione adeguata. I medici e la società in generale devono essere formati anche sulla sensibilità culturale e sull’uso appropriato del linguaggio. «La comunicazione, come ci si deve esprimere, deve diventare una pratica comune soprattutto dei medici, ma anche di chiunque, come qualcosa di molto ben conosciuto. Tuttavia, c’è ancora molto lavoro da fare», afferma Lo Russo.

Questo campo della chirurgia è in continua evoluzione. Rispetto a soli dieci anni fa, le differenze sono ampiamente osservabili. Si è abbassata, infatti, l’età di chi decide di intraprendere un tipo di percorso come questo. Sono, inoltre, sempre meno le persone che non vengono comprese e lasciate sole. L’intervento di creazione del torace maschile, che consiste nella rimozione della ghiandola mammaria risparmiando e rimodellando i tessuti cutanei sovrastanti è un intervento rapido, di superficie e non troppo doloroso. «Per me è un onore. Dopo una settimana, quando tolgono le fasce, i pazienti si guardano e, oltre a essere molto felici, sono guariti e stanno bene», conclude Lo Russo.

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